LAVORO IN PIEDI – PATOLOGIE CORRELATE E TUTELA DEL LAVORATORE.

 

Si è sempre più sviluppata nella Grande Distribuzione, ma anche in altri settori in cui è richiesto il rapporto con il pubblico (musei, aeroporti, servizi di vigilanza, sanitari, etc.), l'adibizione di lavoratori a lunghi periodi di servizio in piedi, nella stessa posizione, senza la possibilità di sedersi o con pause - se concesse - molto distanziate nel tempo. La letteratura medica da tempo ha espresso i rischi di tali posture sulla salute dei lavoratori, rischi che possono essere ridotti con accorgimenti che devono essere apportati dai datori di lavoro.

Uno studio dell'ASL di Milano del 2011 ha così sintetizzato i disturbi legati al lavoro prolungato in piedi

Dolore dei piedi e delle gambe

Gonfiore dei piedi e delle gambe

Calli

Problemi ai calcagni quali fascite plantare e sperone

Tendinite del tendine di Achille

Vene varicose (Tüchsen e al. “standing at work and varicose veins” Scandinavian journal of work 2000)

Artropatia di anca – ginocchio

Rigidità del collo e delle spalle

Problemi in gravidanza; maggior presenza di malformazioni (LIN e al. “Effects of maternal work

activity during pregnancy on infant malformations” Journal of Occupational end Environmental

Medicine” 1998)

Ipertensione

Problemi cardiaci e circolatori

 

Nella maggior parte dei casi l'eventualità di effettuare pause non è prevista dalla contrattazione collettiva. E' opportuno quindi valutare la richiesta di intervento del medico aziendale. Altra questione è che, altrettanto spesso nemmeno il Documento di Valutazione dei Rischi (che deve essere adottato ai sensi dell'art. 17 del d.lgs. 81/2008) non contempla affatto i rischi derivanti dalla prolungata stazione eretta dei prestatori di lavoro. La valutazione del rischio deve essere completa e, pertanto, l'omissione può determinare l'applicazione di sanzioni specifiche a carico del datore di lavoro.

Deve considerarsi infatti che vi è preciso obbligo del datore di lavoro in tal senso, in quanto l'art. 174 “Il datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio di cui all’articolo 28, analizza i posti di lavoro con particolare riguardo:
(…)
b) ai problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico o mentale;
c) alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.” Tuttavia non è nemmeno facile verificare se l'Azienda abbia effettivamente valutato questo tipo di rischio nel c.d. DVR. Tale documento, di norma non viene consegnato al lavoratore, ma il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza ha diritto a prenderne visione (art. 18, comma 1, D.Lgs. 9 aprile 2008), ma per un inspiegabile favore nei confronti del datore di lavoro, questo documento non può essere portato all'esterno da parte del RLS.

 

Quando le pause vengono concesse occorre valutarne l'efficacia in relazione alla loro frequenza.

Secondo il citato studio pubblicato dal Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro ASL di Milano nel 2011 “quando si interrompe la condizione di lavoro prolungato in piedi la velocità di recupero rispetto all’affaticamento muscolare è molto più accentuata nei primi minuti: in effetti se il recupero completo avviene entro 60 minuti, il 25% del recupero avviene nei primi 4 minuti mentre il 25% finale richiede 42 minuti. Ne consegue che dal punto di vista del recupero una serie di pause brevi (es. 5 minuti) sono molto più efficaci di pause prolungate (es. 15 minuti)”.

 

Gli organi di vigilanza dell'ASL, pertanto, possono adottare provvedimenti che facciano obbligo al datore di lavoro di permettere il lavoro seduto. Questo è possibile in applicazione del n. 1.11.1.6 dell’Allegato IV del d.lgs. 81/08 a termini del quale “L’organo di vigilanza può prescrivere che, anche nei lavori continuativi, il datore di lavoro dia modo ai dipendenti di lavorare stando a sedere ogni qualvolta ciò non pregiudica la normale esecuzione del lavoro”.

Il TAR Toscana (sentenza n. 233/2011) ha ammesso in via generale l'adottabilità di tali provvedimenti che, tuttavia, devono avvenire nel pieno contraddittorio con l'Azienda datrice di lavoro: l’intervento dell’autorità di vigilanza presenta, con tutta evidenza, i caratteri tipici della prescrizione attuativa di un precetto che il legislatore ha solo parzialmente determinato, rimettendo all’amministrazione la scelta circa la stessa opportunità di esercitare o meno il potere di ordinare l’adeguamento delle postazioni di lavoro”.

La mancata adozione delle precauzioni per evitare i rischi sulla salute del lavoratore può essere fonte di autonoma responsabilità del datore di lavoro in relazione all'insorgenza di patologie collegate alla prolungata stazione eretta.

Avvocato Alberto Carluccio

 

 

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